Asian Indian business man reading newspaper while drinking a cup hot milk tea during lunch hour at cafeteria.

La carta è ben lontana dall’essere morta. Online? Ok, ma sfogliare i paginoni dei quotidiani è una cosa che piace ancora. A farci riflettere sulla questione, Luisa Cavagnera che da molti anni si occupa di media relations e che il 6 marzo sarà in aula alla Fundraising Academy con la terza edizione del riusitissimo modulo L’ufficio stampa di un ente nonprofit. Insomma. Fare a meno degli strumenti tradizionali di massa è follia. Ecco perché.

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Se 39 milioni di italiani leggono i giornali…

Sono questi i numeri, dalle recentissime rilevazioni Audipress, delle persone che nel nostro Paese si informano attraverso i quotidiani e i periodici, circa il 74% della popolazione adulta. In particolare, 15 milioni e 750 mila lettori (il 30% della popolazione) scelgono per informarsi un quotidiano, su carta o in digitale, generando un volume che supera i 23,7 milioni di letture al giorno. Ogni settimana quasi 13 milioni di italiani leggono un settimanale e in 11 milioni 700 mila leggono un mensile ogni mese.

“La leggono perché la considerano uno strumento insostituibile per attendibilità e autorevolezza, che con credibilità, affidabilità, approfondimento e verifica sono il solo argine possibile alla proliferazione delle fake news”, dice a Repubblica il presidente della Fieg, Federazione Italiana Editori Giornali, Andrea Riffeser Monti.

È un dato (apparentemente) rassicurante per chi si occupa di media relations, o come si diceva una volta, di “ufficio stampa”.

Eppure, i dati ADS sulla diffusione dei quotidiani (che contano le copie messe in circolazione, cartacee e digitali, attraverso le vendite in edicola, gli abbonamenti e le distribuzioni gratuite) parlano di un calo di copie distribuite, fra il 2013 e il  2019, pari al  41% per il Corriere della Sera, ad oltre il 50% per La Repubblica e al 53% per Il Sole 24 Ore. Anche la Gazzetta dello Sport, che rimane il quotidiano più letto in Italia (oltre 3 milioni di lettori nel giorno medio), ha subìto fra 2013 e 2019 una contrazione del 38%.

E questi sono dati che descrivono uno scenario sicuramente complesso per il lavoro dei comunicatori oltre che, naturalmente, di tutti i professionisti, a cominciare dai giornalisti, che in tale contesto esercitano la loro attività. Uno scenario in cui le logiche di marketing editoriale sono sempre più determinanti e il mestiere di chi gestisce le relazioni con i media per conto di un’organizzazione deve evolvere e, in un certo senso, reinventarsi.

Senza dimenticare ciò che, a mio avviso, fa la differenza, ovvero l’attenzione alla qualità.

Cosa significa, concretamente? Innanzi tutto ascoltare e studiare aspettative, domande, necessità, ruoli, tempi, modi di lavorare specifici dei media con cui si dialoga: è il presupposto per costruire relazioni efficaci con i giornalisti, lavorando non per loro ma con loro.  Comprendere quali contenuti, messaggi e storie sono realmente interessanti per i loro pubblici, rinunciando all’autoreferenzialità che affligge molte organizzazioni. Mantenere alta la qualità della scrittura, differenziando i codici e il tono di voce secondo le diverse necessità ma senza deroghe allo stile.

Se 39 milioni di italiani leggono i giornali per la loro “attendibilità e “autorevolezza”, se le organizzazioni – profit o non profit, senza differenza – continuano ad avere l’ambizione di una visibilità proprio su quei media… allora fare media relations di qualità è ancora un’attività strategica.

Ed è un’attività che si impara.

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Il 6 marzo 2020 si terrà il corso tematico
“L’ufficio stampa di un ente nonprofit. Organizzare l’attività di media relations e digital pr della tua Onp“, III edizione. 8 ore con Luisa Cavagnera Iscrizioni aperte e informazioni al link:

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