Per un attimo vorrei tornar bambina. Vorrei provare a riassaporare quegli odori, rivedere quei colori, riascoltare quei suoni che contraddistinguevano i miei Ferragosto di tanti anni fa.

Ricordo la festa del paesello della mia nonna. Ricordo che alle 10 in punto suonavano le campane a festa, invitandoci a correre nel suo cuore, lì sulle rive del Piave, in quell’unica via che nei lunghi inverni ospitava poche anime anziane accolte nel calore delle stufe a legna ma che in estate, da giugno a settembre, tornavano a riospitare chi quelle valli avevano lasciate tempo addietro a cercar fortuna.

Ricordo la Madonna nera che, oggi come allora, uomini forti portavano a braccia, in un rituale che sembrava perdersi nel tempo. Ogni volta con la medesima lentezza, con i medesimi gesti, i medesimi volti. E poi quella corona di alloro, gettata nei flutti del fiume a benedire e ricordare i nostri caduti della Grande Guerra.

I vecchi guardavano in su, verso la terrazza. “Oh, Lina!”, chiamavano. “Come vala!?”, rispondeva la nonna.

Dalla cucina piccola e affollata, il rumore dei piatti del pranzo ferragostano: polenta, conicio, a volte scios, funghi, formai frit e ovi in tecia. Quante volte li avrei riproposti, una volta diventata adulta. Tutti insieme, la mia famiglia, intorno al tavolo, una volta terminata la funzione.

Poi tutto si faceva silenzio. Era magia, ricordo. Ricordo ancora che sembravano non passare mai quelle ore, nel sole caldo e poi tra le grave del fiume gelido, il pomeriggio.

Ma quand’è che il Piave ha smesso di mormorare? Forse mai, mi dico. Davvero mai, mi conforto. Forse è solo successo che ho smesso di ascoltarlo per tendere la mia attenzione altrove. Sì, dev’essere stato così.

C’è quel momento esatto della tua vita in cui ti è chiaro che nulla sarà più lo stesso e nasci a nuova consapevolezza. In quel preciso momento ti scopri diverso e voglioso di riappropriarti delle cose e dei momenti che per la fretta di crescere hai dato per scontati.

Il Piave non ha mai smesso di mormorare e, ora come allora, torna irruente a scorrere nelle mie vene. Forse è solo quella dannata voglia di tornare là, dove ho lasciato quella bambina con i capelli all’Alfa Alfa e il vestito a fiorelloni arricciato sul ginocchio che mi regalarono mamma e papà.

Forse è vero, come mi disse una volta un’anziana zia:

sono figlia di quelle terre e per quanto corra veloce, il sangue chiama e chiamerà sempre, portandomi a sé, nuovamente su quelle rive, ad ascoltare i racconti delle anime che in quelle valli ancora cantano dopo le Ave Marie.

(Post originale pubblicato su La Zanzarella il 15 agosto 2017)

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