Chiedere. Chiedere. Chiedere!

Quello della richiesta è un tema centrale che mi trovo ad affrontare regolarmente nelle mie associazioni e in classe. Chiedere è sempre molto faticoso. Presuppone anche un po’ di faccia tosta, diciamocelo, ma è questo il compito del fundraiser.

Reticenza e timore di essere indiscreti sono i freni alla sostenibilità. Se l’organizzazione non chiede ciò di cui ha bisogno, non ottiene risultati. Se il fundraiser non chiede, non fa bene il suo lavoro e forse ha sbagliato mestiere.

Perché mai le organizzazioni non chiedono? Le motivazioni sono diverse:

  • timore;
  • orgoglio;
  • per non essere indiscreti;
  • timidezza;
  • perché la buona causa dovrebbe bastare di per sé;
  • perché non sapevano di dover chiedere.
  • Per che cos’altro? A volte, alcuni enti non chiedono perché non credono fino in fondo alla bontà delle loro azioni ma non lo ammetteranno mai. Capita anche questo.

I motivi sono i più disparati ma quello che ricorre maggiormente è perché non si vuole disturbare. E dunque?

Come faccio a fare raccolta fondi se non “disturbo”?

Il patrimonio più importante di un’organizzazione è il proprio capitale sociale, un patrimonio costituito da due identità: i donatori presenti (che possono comprendere anche parte dei beneficiari diretti e indiretti delle attività erogate, naturalmente) e la rete relazionale più o meno allargata e più o meno informale a cui attingere.

Nessuna di queste due è tenuta a sapere che hai bisogno se il bisogno non viene espresso.

I donatori presenti, già acquisiti, sembrano i più semplici da coinvolgere perché il legame che ci lega a loro non è poi così personale, o non lo è del tutto. Ma allora perché obiettare quando si chiede di proporre loro il rinnovo del dono subito dopo un’azione donativa o il sostegno liberale della missione di cui si beneficia? La letteratura e l’esperienza sul campo insegnano che un donatore soddisfatto della propria esperienza sarà portato a confermare il proprio sostegno rinnovando il gesto di dono se troverà soddisfazione dal riscontro ottenuto.

Le persone potenzialmente più interessanti per la causa sono anche coloro che ci sono più vicine e che tendiamo a escludere, proprio per via del rapporto che ci lega, dalla richiesta esplicita di sostegno. Come a dire: gli amici non si toccano perché sennò pensano che me ne stia approfittando. Questo pensiero è balenato nelle menti di ciascuno di noi almeno una volta, diciamocelo pure. Pensiamoci un attimo:

se crediamo che la nostra causa sia davvero la migliore da sostenere, perché non condividere questo pensiero con chi vogliamo bene?

Se pensiamo che i risultati del lavoro che facciamo all’interno delle nostre cause serva a un bene superiore e non vada invece a soddisfare interessi di natura proprietaria,

perché mai escludere dall’opportunità di far fare la stessa esperienza ideale alle persone a noi più vicine?

Precludersi l’opportunità di un dono alla fonte, specie se ravvicinato o “dal vicinato”, è un grave errore.

Quel che dobbiamo fare è dare al donatore gli strumenti per donare, chiedergli di farlo e lasciarlo libero di scegliere se aderire o meno alla nostra proposta. Scegliere per lui non sta bene, non si fa e francamente è anche un pizzico irrispettoso, se ci pensiamo bene.

Nel fundraising, di una cosa sono convinta: chiedi e ti sarà dato; tendi una mano e troverai sostegno. Se rinunci a chiedere e perdi opportunità di fare ancora di più e meglio, la colpa è tua e di nessun altro.

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