Stimolante e attualissimo il post del professore sul blog della sua scuola. Nel suo articolo FUND RAISING SENZA VALORE AGGIUNTO. NECESSARIO, FORSE, MA NON PER FORZA GIUSTO, Massimo Coen Cagli fa riferimento a come alcune iniziative in ambito locale stiano cogliendo a piene mani le opportunità che il fundraising propone. O che, per lo meno, ci provino cogliendo gli aspetti a loro più utili, tralasciandone altri che per loro natura sono invece fondanti e conditio sine qua non della disciplina della raccolta fondi.

Il tutto parte dall’iniziativa del Sindacato di Polizia del comune di Genova (18 ottobre) che, se per certi versi può apparire frivola e genialoide ai più, all’occhio attento del professionista appare invece in tutta la sua preoccupante importanza, finendo per tacciare lei e idee simili di essere fundraising  a metà.

In questo post, sono intervenuta e ho espresso il mio pensiero. Ve lo ripropongo:

In un momento così delicato come quello attuale, tutto è concesso. E le buone idee le benvenute.
Intervenendo via Twitter nel programma di Piazza Pulita dello scorso 13 ottobre, avevo suggerito un uso massiccio di fundraiser al servizio dello Stato. Un Twitt poi RT a oltre 6milla followers.
Ciò sta a significare che forse non è poi così tanto un’idea strampalata.
Però, occorre metodo. Ci vuole trasparenza, coinvolgimento del donatore e uso delle risorse in modo attento e scrupoloso. Occorre non prendere in giro chi ti sostiene. Ma, purtroppo, quello in cui siamo inseriti da anni è un circolo vizioso che ruota sempre più su se stesso e rischia fortemente di strozzarci.
Sappiamo anche bene che in economia esistono i cicli e che il mercato si autoregola. Così, toccato il fondo non possiamo che riemergere. Ben vengano le buone idee che permettano di mettere in moto o accelerare il cambiamento.
Quel che occorrerebbe, a mio modo di vedere, è un “mea culpa” della classe dirigente. Un dire all’unisono “abbiamo sbagliato”; “siamo stati degli incapaci”. “Vogliamo rimediare: ora si cambia davvero”. Una seconda opportunità non la si nega a nessuno. Ma il cambiamento e il senso di colpa devono essere reali. Sentiti. Profondi.
Il pluralis maiestatis è voluto. Perché il danno si è coltivato in anni di malgoverno. Ciascuno ci ha messo del suo per ledere nei principi e negli atti questo Paese. Troppo facile nascondersi dietro il NON DIPENDE DA ME. Io non c’ero. Sono stati altri. Tutti, nessuno escluso, sono il prodotto del proprio vissuto! Dirigenti attuali inclusi.
Ecco. Un po’ di senso civico, assunzione delle responsabilità e serietà forse non farebbero altro che bene all’immagine e all’anima dello Stato. E sarebbe indice della volontà di cambiare. Indice di fiducia.
Il problema è alla base: serve un cambiamento culturale.
Se è vero, sentito, il fundraiser e il fundraising possono dare un aiuto importante. Ma, mi ripeto, sotto ci devono essere dei princìpi saldi.
Ma, forse, quella di cui sto parlando è l’Isola che non c’è.

Per concludere, sono dell’opinione che il fundraising potrebbe essere lo strumento principe per mettere in moto il cambiamento. Ma deve avere un ruolo da protagonista, nel pieno delle sue facoltà e inclusivo di tutti i suoi princìpi fondanti quali l’etica, la reciprocità, la trasparenza.

Insomma: se si vuole cogliere dal fundraising, occorre farlo bene.  Partendo da un cambiamento totale e dalle fondamenta.

Che FUNDRAISING DI STATO sia! Non alibi del momento.

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