Io mi occupo di marketing. Così definisco il mio lavoro quando il tempo è poco, nell’intento che il mio interlocutore capisca subito di cosa parlo. Sociale, ben inteso. Ma sempre di marketing mi occupo. E di marketing ho scritto spesse volte su queste pagine. Sul marketing si basa il mio modo di lavorare e di fare fundraising. Sul marketing mi muovo nel pensare a una campagna di comunicazione. Insomma: il marketing lo vivo, lo respiro, lo applico. Mi piace la tecnicità delle risposte che mi dà e gli strumenti sui quali fonda le sue dinamiche. Non lo demonizzo. Lo uso con criterio. Attenzione. Rispetto.

A coniare il termine di marketing sociale fu Philip Kotler nel 1971. Più tardi, nel 2002, con Roberto e Lee, Kotler definisce il marketing sociale come l’utilizzo delle strategie e delle tecniche del marketing atte a influenzare un gruppo target ad accettare, modificare o abbandonare un comportamento in modo volontario, al fine di ottenere un vantaggio per i singoli individui o la società nel suo complesso (Social Marketing – Improving the Quality of Life. Thousand Oaks – California -, Sage Pubblications, 2002 – 2nd edition, p. 5.).

Segmentazione del mercato, analisi del target, ricerche di mercato, sviluppo, test di prodotto, comunicazione diretta, agevolazioni, scambio, posizionamento. Il marketing non è un male. Ma, come per tutti gli strumenti efficaci, la sua giusta efficacia dipende dall’uso che se ne fa e, come in tutte le cose, la differenza la fanno le persone. Conoscerlo porta vantaggio competitivo. Ed è quindi cosa buona e giusta che un professionista del nonprofit lo conosca e impari a gestirlo. Al meglio e a favore della sua ONP e a patto che ciò contribuisca ad aumentare i benefici per l’individuo e per la società, in un’ottica di sviluppo e bene comune.

Se queste argomentazioni non ci bastano e vogliamo trovare un modo migliore per definire il marketing sociale, in particolare se legato al nonprofit, proporrei la seguente definizione:

Marketing Sociale: analisi, individuazione, creazione e valorizzazione di contenuti di valore che motivano, educano e ispirano la comunità di riferimento nel raggiungimento di obiettivi individuati e in un’ottica di benessere condiviso.

Vi piace? Se non vi convince, insieme possiamo ripensarlo in modo che risponda in modo efficace ai nostri bisogni, con il proposito che la sua adozione venga finalmente sdoganata e accettata in via definitiva.

Vi propongo 4 modi in cui utilizzare il marketing in modo “eticamente strumentale”:

  1. usa un tono cordiale e poniti sullo stesso piano del tuo interlocutore: proponiti con assertività e usa i contenuti per costruire relazioni che siano vere;
  2. sostanza e stile dei tuoi contenuti fanno la differenza: il termine di “semplicità” non coincide necessariamente con quello di “banalità”. Ricordiamocelo la prossima volta che pensiamo a una campagna di raccolta fondi;
  3. l’unicità crea la differenza: la credibilità passa attraverso la fiducia e la fiducia è un sentimento molto personale che varia al variare dell’interlocutore. Gestisci il rapporto con il donatore come gestiresti il rapporto con un amico: in modo unico e differenziato;
  4. considera, e punta a far diventare, la tua nonprofit come top of mind d’area, ovvero leader nel proprio settore. E perché no? Essere citati come primo nome è sinonimo di awarness, di attendibilità, di affidabilità. Essere opinion leader e opinion maker non è un male. Crea, invece, costanza e pone le basi per la storicità.

Osa. Prova. Assapora. Sperimenta. Innova. Il resto è limite.

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