Da sempre sono dell’idea che l’approccio al fundraising vada cambiato perché si possano ottenere risultati permanenti. Mi sono trovata a lungo ad affrontare questa questione, certo centrale, ma che se presa come un tassello dei molti non esaurisce la complessità della materia e non la soddisfa nemmeno. L’attuale periodo di incertezza ha rafforzato il pensiero che sia sempre più necessario cambiare il modo di pensare la sostenibilità non tanto in termini di risultato – perché, è ovvio, questo continua a prevedere il perseguimento di un risultato economico con un + davanti -, quanto di testa: il modo in cui lo si fa e lo si persegue deve cambiare perché non si può limitare a questo.

Nella vita non mi accontento ma cerco il meglio per me e per il mio benessere, poco o tanto che sia è relativo, e nel lavoro uso lo stesso metodo. Così, il mio approccio al fundraising non è mai stato strumentale e finalizzato al solo obiettivo della raccolta di risorse economiche. Come mi piace dire, la raccolta di queste ultime deve divenire conseguenza e non fine. Se ci si ferma a questo, l’obiettivo viene soddisfatto nel breve probabilmente ma nel lungo prevede la rimessa in moto di tutta una serie di attività già percorse partendo da zero. Ennesima fatica, ennesimi errori, ennesimi risultati.

Per ridurre la prima, arginare i secondi e amplificare i terzi, occorre procedere per gradi, istruendosi e costruendosi le basi su cui poggiare poi le scelte e le azioni da compiere.

Vi deve essere un’armonia tra i fini proposti e le opportunità effettive. Va costruita una logica coerente che parta da una comunicazione di senso che ti appartenga affinché i tuoi potenziali donatori possano riconoscerti come credibile e, dunque, affidabile.

Assistiamo invece alla produzione di messaggi sensazionalistici, spesso pietistici, simili uno all’altro e con progetti senza distintività. Se guardi dentro, se approfondisci un po’, noti che mancano di sostanza. La buona volontà senza la sostanza è una cosa buona ma si esaurisce a questa. Altre volte, la sostanza si ferma all’apparenza: un bel vestito e magari un testimonial di grido (tema su cui tornerò perché ritenuto – a volte erroneamente – scorciatoia per arrivare all’obiettivo). Tutto bene, ma poi?

Va dunque costruito il proprio “Io” organizzativo, partendo dall’analisi di ciò che si è e dalle proprie aspettative di crescita, facendo i conti con la realtà e costruendosi le competenze per dotarsi degli strumenti più idonei atti ad accompagnare il proprio ente in un percorso che merita di essere vincente, data la fatica, l’impegno e gli obiettivi che si pone.

La strada che ti propongo non è facile e nemmeno breve, quella la lascio gestire volentieri a chi non ha una visione o a chi si accontenta del ‘pochi, maledetti e subito’. Ciò che ti propongo è un approccio che metta in discussione ciò che pensi di essere per cercare di trovare chi sei veramente, cosa puoi dare veramente, che ti metta in discussione al fine di aiutarti a tirar fuori il meglio. Con esso, relazioni più durature; progetti più soddisfacenti; modi d’agire e di proporsi più consapevoli e orientati.

Con il progetto formativo Startup Fundraising già dal 2016 ho messo a terra questo obiettivo, coinvolgendo professionisti del settore con medesimo approccio, in modo da costruire una proposta che favorisse l’acquisizione di un metodo, anche mentale, che partisse da un approccio olistico alla sostenibilità grazie all’uso di un buon fundraising che non può, ovvero, che essere integrato, cioè che integri e metabolizzi i diversi aspetti organizzativi, soft e hard.

Nel chiudere questo breve scritto in vista del settembre che avanza, per completare, mi vengono in aiuto le riflessioni di tre colleghi e docenti della Fundraising Academy che trovo molto allineate.

Scrive, Raffaele Picilli: il fundraising è una dimensione allargata che coinvolge mission, vision, buona causa, comunicazione, trasparenza, persone, fidelizzazione ed etica. Dovrebbe mancare una sola cosa: l’improvvisazione.

Gli fa eco Silvia Superbi: “Ognun sa navigar quando è buon vento. Il buon marinaio si conosce al mal tempo.” La sapienza marinara indica però anche che non ci si improvvisa e non si può rischiare senza la giusta preparazione. Prospettiva e azione! Ci aspettano nuovi progetti, nuovi modi di pensare e scelte coraggiose. Le competenze sono sempre più necessarie, per sostenere le fragilità e i bisogni al centro della nostra mission.

Completa Federica De Benedittis: come afferma Schopenhauer “Solo il cambiamento è eterno, perpetuo, immortale”. Tutto cambia e in questo momento particolare anche con grande velocità. Gestire il cambiamento oggi, implica coraggio  nel mantenersi aderenti ai propri valori e, allo stesso tempo, competenza e capacità di saper guardare le cose con una prospettiva diversa, cercando nuovi stimoli e nuovi strumenti. Per chi lavora nel Terzo settore questo è ancora più vero e importante.

In tutto ciò che faccio, nello scrivere, nel formare, nella consulenza, nel pubblicare contenuti miei e di altri, nel creare nuovi progetti, cerco di trasferire questo modo di fare le cose e di vedere il mondo. Perché quanto si faccia e poi ottenuto, poco o tanto che sia, rimanga e si amplifichi nel tempo secondo ciò che sei. Il mio compito è darti le istruzioni per farlo, il resto dipende da te.

Buon settembre.

Condividi su: