2iStock_000018079047SmallRipropongo qui, con qualche utile aggiornamento, un post pubblicato su La Zanzarella nel mese di settembre dello scorso anno (Non si vive di sole Charity). Per due ragioni:

  1. la prima per rinnovata attenzione, credo infatti che nel pubblico un’apertura al fundraising sia ormai obbligata e non solo un “capriccio” dell’amministratore di turno;
  2. la seconda è perché ho dovuto mettere off line il post su Vita per via di un attacco hacker e le ferie non mi permettono di intervenire come sarebbe utile.

Eccolo quindi, certa che interesserà tanto quanto sono certa che sono sempre di più i fundraiser impegnati in questa direzione. Quindi, buona lettura e al prossimo post!

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Ricordate quanto stupore intorno all’iniziativa da parte del Comune di Crema di inserire nel proprio organico la figura del fundraiser? Fortemente caldeggiata dall’attuale sindaco Stefania Bonaldi, l’iniziativa è stata oggetto di una bagarre interna durata mesi (leggi qui e qui) tra maggioranza e opposizione. Sulla questione è stata poi posta la parola fine ed era finalmente partita la ricerca di un “funzionario amministrativo” dedicato, in modo particolare, alle attività di raccolta fondi. Il termine non era certo il più appropriato e faceva pensare, non c’è dubbio, ma l’avviso pubblico elaborato dal Comune, per dirla in modo molto semplice, non faceva una piega.

Nello stesso periodo, a Lissone, Comune della Provincia di Monza e Brianza, un ufficio fundraising era operativo a tutti gli effetti già da qualche tempo (vai alla news). Come sopra: in linea di principio può essere utile qualche aggiustamento nel linguaggio ma, tutto sommato, l’idea è cristallina e la politica è, in questo senso, determinata.

Sulla stessa linea, il Comune di Cesano Maderno, sempre in Brianza, per cui io stessa – insieme a un collega – mi sono occupata di analizzare la fattibilità di una start up di un’unità interna dedicata al fundraising. O il Parco Nord Milano di cui occupo con grande soddisfazione da qualche tempo.

Amministrazioni illuminate? Forse. O, per meglio dire, anche. In tempi difficili come quelli attuali, in cui spending review e stabilità dettano legge, si cerca di fare di necessità virtù. Ma la PA va guidata e, prima ancora, educata al fundraising perché di questo ha, se ce l’ha, una vaga idea e a volte quest’idea ha a che fare con i soli flussi di cassa. Stop. Non è sempre così naturalmente, e, come sempre, esistono le eccezioni ma sono rare.

Quello a cui stiamo assistendo è un fenomeno che scuote il fundraising dalle radici: si aprono nuovi mercati e si affacciano nuovi scenari. Con essi, mutano i punti di riferimento, indebolendo certezze e preconcetti di una figura, quella del fundraiser, pensata solo se inserita in contesti di Terzo settore.

Non è più così o, perlomeno, non è più solo così. Amministrazioni pubbliche, scuole, biblioteche, nuovi modelli di impresa: sono questi i settori “emergenti” che propongono (o che ripropongono) figure o interventi in questo senso.

Il fundraising è un tema che merita attenzione ma che anche il Governo Renzi, pur in sede di Riforma del Terzo Settore, sembra snobbare (leggi, a tal proposito, il mio post su Vita sul DDL del 6 agosto 2014). Ancora una volta, la voce dei fundraiser rimane inascoltata. Nonostante gli sforzi, aggiungo (leggi il post de La Scuola di Roma).

In questa complessità, il fundraising italiano e, con esso, la figura del fundraiser rischiano la deriva. Incomprensioni che nascono da asimmetrie informative sono tanto possibili quanto ordinarie. Questo è un aspetto fondamentale su cui è sempre più urgente aprire un confronto sincero e aperto tra addetti, in modo che i tempi e i cambiamenti in atto non ci colgano impreparati e, aggiungerei a questo punto, non ci lascino con un pugno di mosche in mano…

Se hai qualche esperienza in ambito pubblico e hai voglia di raccontarcela, fallo pure qui! Grazie :)

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