Hai mai pensato a quanto i videogiochi possano essere utili per stimolare e coinvolgere le nuove generazioni prima alla conoscenza e poi all’adesione a una causa sociale?

A parlarcene, Sonia D’Errico, fondatrice di PinAndGo, start up innovativa a vocazione sociale che promuove l’intrattenimento intelligente negli eventi legati al territorio e che da poco ha creato un gioco digitale e analogico per i Musei di cui tornerà a parlarci presto. Promesso ;)

Buona lettura.


Sono tutto fuorché un’esperta di gamification ma sono una donna molto curiosa. Lavoro da tempo per una start up che promuove intrattenimento intelligente per famiglie e spesso mi sono trovata a pensare a giochi e attività che potessero coinvolgere i ragazzi.

Ultimamente, complice il Covid, ho avuto più tempo per progettare e ho voluto prendermi del  tempo per approfondire alcuni aspetti del mio lavoro. Mi sono iscritta a Fundraising Academy, dove ho conosciuto Elena, per approfondire la parte di scrittura dei progetti e, successivamente, a un corso sulla gamification, il primo “corso” proposto dai bravissimi ragazzi di Project Fun di cui vi racconterò in dettaglio più avanti.

Come tutti i nerd, mi sono buttata a capofitto nello studio della raccolta fondi e di quella che viene considerata solo una materia per chi progetta videogiochi.

In realtà, la gamification viene applicata da molto tempo in tantissimi ambiti: si pensi, ad esempio, alla classica tessera fedeltà del punto vendita, al “presentaci un amico” o ancora, per concludere, a “solo i primi 100!!”.

La definizione che Wikipedia da del termine gamification è la seguente:

La gamification è l’utilizzo di elementi mutuati dai giochi e delle tecniche di game design in contesti non ludici.

Davanti a una tazza di caffè, con Elena, abbiamo cominciato a parlare della relazione tra raccolta fondi e gamification. Ci sono già alcuni esempi interessanti, molti sotto forma di videogioco o app che sensibilizzano l’opinione pubblica verso un dato argomento. In Italia, espressioni di questo tipo sono ancora poche ma è un fenomeno in grande ascesa.

In Gran Bretagna e in America si vedono già i primi esperimenti applicati al nonprofit e alla raccolta fondi.

Save the Children, ad esempio, nel 2011 ha lanciato nel Regno Unito una campagna: “No Child Born to Die” accompagnata di un gioco Give Girls Power per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione delle bambine costrette a sposarsi in giovane età e alle loro condizioni sanitarie. Il gioco chiede ai consumatori di mettersi nei panni di una giovane donna che non ha gli stessi diritti e lo stesso potere di fare le scelte che le ragazze della Gran Bretagna possono fare.

Altro esempio che ormai è un classico è la molto nota in tutto il mondo “Ice Bucket Challenge”, campagna a favore della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) che ha caratterizzato l’estate 2014.

Venendo al Belpaese, Gamindo, una giovane start up Italiana, ha creato app dove si collezionano gemme che diventano monete reali per sostenere enti del terzo settore o per promuovere aziende. Un filo più impersonale ma che arriva comunque all’obiettivo di raggiungere un target giovane e raccogliere fondi.

Ma l’aspetto che preferisco in assoluto della gamification è la capacità di generare emozioni. Sono tantissimi casi, il più divertente è quello della campagna della Samsung, dove si può vincere un Telefono fissando il video per 60 secondi. Vi invito a vedere il video per capire il potenziale di quell’esperienza. La regola è semplice:

Se ti faccio provare un’emozione, non ti dimenticherai mai di me!

Non va poi dimenticare l’applicazione alla vita reale.

Proviamo, ad esempio, a immaginare una caccia al tesoro in piazza a favore, che so, di un’associazione che si occupa di clown in ospedale che, guidati dai loro piccoli pazienti, li seguono risolvendo per loro quiz o trovando indizi all’interno del loro reparto o dell’intera struttura. Ogni partecipante potrebbe contribuire con una quota d’iscrizione alla caccia al tesoro.

La dinamica è semplice: tutti si divertono, tutti giocano, si fa raccolta fondi e si crea un’esperienza replicabile con tantissimi temi, ci riappropriamo delle città e possiamo, con facilità, sensibilizzare su temi importanti quali salute, ambiente, scuola.

Potrei scrivere per ore portando esempi meravigliosi che stanno emergendo, dall’app per la produttività (Forest App), alla banca che pianta alberi e ti fa risparmiare (Flowe App), ma per questo ci sono i ragazzi di Projectfun, la prima community di gamification, a cui ti rimando e che ti invito a seguire per trovare spunti sempre nuovi e interessanti per il nostro lavoro al servizio della causa sociale (ma non solo, direi).

Se è fondamentale per il terzo settore avere all’interno di ogni team un fundraiser che progetti e capisca le nuove logiche digitali della raccolta fondi, è sicuramente importante che questa figura provi ad aprirsi al mondo della gamification perché ha molto da offrire. Cosa, ad esempio?

  • Intercettazione di target differenti, spesse volte più giovani.
  • Creazione di nuove emozioni.
  • Favorire la fidelizzazione.
  • Promuovere la creazione di una rete virtuosa costituita da donatori diversi.
  • e, perché no, diverstirsi.

La gamification ti permette di creare esperienze ed emozioni che un semplice bollettino postale non riuscirà mai a trasmettere (e non pensate che alle nonne non piaccia giocare…).


Sonia, profondamente sportiva e sempre alla ricerca di stimoli, è mamma di Amelia 13 anni e Lara 6 anni. Ha fondato PinAndGo, start up innovativa a vocazione sociale che promuove l’intrattenimento intelligente promuovendo marketing ed eventi legati al territorio. 

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