Era il 1963. In quell’anno usciva “Cosa dici mai”, prima canzone dell’album Le canzoni di Topo Gigio, il pupazzo animato televisivo italiano che dal 1959 accompagna nella crescita milioni di bambini. Lo ricordi? Ebbene, lo stupore per cose dette e fatte può coglierci impreparati e può dare il via a situazioni poco piacevoli oltre che non volute.

Il primo assioma della comunicazione ci dice che Non è possibile non comunicare. Questa l’idea centrale del lavoro di Paul Watzlawick, psicologo e filosofo austriaco del XX secolo e riferimento illuminato per chi studia la comunicazione. Tutto quindi comunica in natura. Tutto ci appare sensato non perché lo sia di per sé ma perché siamo noi stessi che, attraverso la nostra interpretazione del mondo, e quindi delle cose, diamo a queste cose un significato. Così, ciascuno di noi, grazie alle proprie competenze e alla propria enciclopedia, attribuisce a una determinata cosa un senso ben distinto. Un punto di vista.

Esistono tanti punti di vista quante sono le persone. Nulla mai ci apparirà ragionevole se non riusciamo a interpretarlo secondo codici che ci appartengono.

Nella pratica, comunicare bene è cosa assai difficile. Un esercizio piuttosto complesso che a mio modo di vedere ci riesce bene nella minor parte delle cose che facciamo, per le ragione esposte più sopra e che rendono molto di quello che facciamo passibile di critica. Questo accade a maggior ragione per le cose scritte, dove passa solo il 7% del senso di quel che vogliamo dire, non supportato né dalla voce e dal suo tono, né dai comportamenti che possono aiutare.

L’interpretazione del messaggio, in bene o in male, è quindi totalmente a carico del destinatario della comunicazione che attribuirà al testo letto un proprio preciso significato che non è detto che sia quello che pensavamo comprendesse quando l’abbiamo emesso. Anzi. Qui nascono i misunderstanding: non voluti o, al contrario, provocati.

Per evitare il conflitto, occorre imparare a gestire le situazioni.

Per un’organizzazione o anche una persona, può essere utile dotarsi di un codice di condotta (policy) da seguire in condizioni di criticità. Un codice aiuta a mantenere salda la coerenza senza farsi trascinare dalle situazioni che possono anche finire, senza volerlo per scadere in polemiche improduttive o, in casi peggiori, controproducenti, con il rischio di mettere a repentaglio la reputazione.

Per citare Rosa Giuffrè nel suo intervento al mio master lo scorso ottobre, per definire una social media policy è fondamentale perché:

  • salva dalle incomprensioni;
  • definisce chiaramente come e chi sta usando l’account;
  • anticipa polemiche;
  • e, cosa affatto secondaria, autorizza ad agire senza ulteriori passaggi che indebolirebbero l’azione.

Altolà, dunque. Occorre porre la massima attenzione alla gestione delle critiche, mantenendo saldi valori e princìpi. E attenzione, che siano sempre ben identificabili. Insomma, se la tu e la tua organizzazione siete in rete, non è detto vada sempre tutto bene e critiche, commenti negativi, cattive recensioni e provocazioni possono irrompere in ogni momento, minando la pace per un po’.

Come comportarsi dunque nelle diverse situazioni?

Io ho i miei modi e ammetto che ogni giorno imparo qualcosa di nuovo, facendo talvolta leva sul buonsenso e sul contare fino a 3. A volte 10. A volte qualche numero in più. Tuttavia, quando si tratta di gestione della comunicazione all’interno delle mie organizzazioni, le cose assumono un carattere d’istituzionalità che prescinde dall’impeto. Scelgo quindi di adottare un comportamento diligente che funziona sempre e che con piacere ritrovo nelle parole di Riccardo Scandellari sulle pagine di Millionaire di questo mese di aprile.

Ecco le strategie consigliate da Skande che mi permetto di riformulare e applicare in situazioni-tipo legate al nostro contesto:

  • Commento positivo: “Complimenti per ciò che fate ogni giorno”. Una persona che fa un commento cerca di stabilire sempre un contatto. E’ quindi importante gratificarlo e rispondere sempre. Aggiungo: rispondere è importante. Non diamo al nostro interlocutore l’impressione di essere in qualche modo superiori usando un atteggiamento supponenente e presuntuoso perché a lungo andare, a silenzio seguirà silenzio.
  • Commento neutro: “Ho donato 5 € per sostenere la vostra causa”. Ringraziare sempre è importante e allo stesso tempo è un buon modo per promuovere una call to action di rinnovo.
  • Commento negativo: “Ho chiesto delucidazioni sull’uso della mia donazione ma ancora non ho ricevuto risposte. Come mai? Sono veramente deluso”. Anche in questo caso si risponde sempre. E’ importante argomentare se si è in difetto e, ricorda, può succedere. Tuttavia, la differenza la fa la gestione della situazione e non tanto la situazione in sé. Sorvolare o usare il sarcasmo non sono una gran cosa e un occhio va dato al tono usato: Scandellari consiglia di usare il tu o il lei a seconda del tono usato dall’interlocutore. Aggiungo: io preferisco continuare a dare del “lei”, se è nostra abitudine, anche di fronte a un “tu” dato da chi ci scrive. Credo che la coerenza al nostro modus operandi sia importante e vada mantenuta.
  • Commenti con insulti, parolacce, attacchi personali: “Ma non vi vergognate? Dite di muovervi per il bene ma alla fine vi imboscate i soldi della povere gente”. E’ un eccesso, naturalmente, che in questo caso mi concedo. Non mi è mai successo di leggere attacchi simili rivolti alle mie organizzazioni ma sappiamo che potrebbe succedere. Qual è la migliore strategia da adottare in casi simili? “Commenti così – scrive Scandellari – fanno intuire risentimenti personali su cui è inutile indagare. Più cresce la popolarità, più troll (disturbatori) ci saranno”. Aggiungo: un’utile mossa, sullo spirito di quanto detto più sopra, è quella di rispondere in modo diplomatico mantenendo saldo il tono. Nel caso in cui si eccedesse, Riccardo ci invita a cancellare il commento e bannare l’utente. Assolutamente d’accordo.

Stare sul web significa esporsi ed esporsi è sempre un rischio, un rischio da cui la nostra organizzazione non può sottrarsi se vuole fare ciò per cui è nata. Occorre quindi imparare a comunicare bene, anche – e a maggior ragione – quando le cose non girano. Non semplice ma necessario. E anche utile, e molto.

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