iStock_000010194657XSmallC’è un ultimo aspetto di cui non ho parlato nel mio post su Vita pubblicato qualche giorno fa in risposta all’Open Day di Assif. Un aspetto che merita una riflessione adeguata e che nasce su stimolo delle parole di Monica Fabris, Presidente di Episteme ed esperta di psicologia dinamica applicata alla metodologia della ricerca sociale: il ruolo del donatore, il contesto in cui si inserisce e le nuove dinamiche conseguenti.

DONATORE E CONTESTO. Che il contesto sia o stia cambiando radicalmente, ce ne siamo accorti tutti. Che non ci siano più soldi o che ce ne siano pochi, anche. Che uscire dalla crisi non è solo una questione di tempo, pure.

Ma che anche i donatori siano cambiati e, con essi, siano cambiati la propensione e l’approccio al dono è davvero così chiaro a tutti?

Sì perché “i donatori cambiano al pari dei destinatari e, con loro, il modo di donare – spiega la Fabris -. Fino a qualche tempo fa, donatore e destinatario difficilmente coincidevano”. L’atto donativo poteva venire interpretato al pari di una buona azione e portava con sé il concetto di delega delle responsabilità. “Oggigiorno – continua la presidente -, il panorama è mutato e, con esso, è mutata la scelta legata all’erogazione del contributo. Stiamo assistendo al cambiamento della posizione del donatore da mittente dell’atto caritatevole a persona bisognosa di aiuto”. Aspetto, questo, estremamente interessante e forse (ma potrei sbagliarmi) poco investigato.

Sotto questa luce, tutto assume nuovi contorni. Cambiano le priorità così come la percezione delle cose.

E il fundraising? Come sta cambiando in tutto questo? Qual è il suo nuovo ruolo?

DINAMICHE CONSEGUENTI. Sulla base di queste sollecitazioni e di quelle intervenute qui in riferimento all’attenzione agli aspetti formativi del professionista della raccolta fondi, non è un azzardo articolare questo nuovo approccio al fundraising (di seconda generazione appunto) su tre livelli culturali definiti, tra loro fortemente integrati e necessariamente interagenti:

  1. CULTURA D’IMPRESA. Legata agli aspetti di output e di prodotto. Un Terzo settore che si ripensa in modo strutturato e organizzato allontana il rischio di fallimento, produce valore tangibile e sostenibile di lungo periodo. Pensa e agisce in termini di mercato, con quella marcia in più legata alla buona causa che ne sancisce l’identità sociale.
  2. CULTURA DEL SERVIZIO. Legata al concetto di outcome e del valore aggiunto “virtuoso” (e spesso intangibile) che un’organizzazione aggiunge al proprio prodotto/servizio erogato. Misurare il “quanto di più” un servizio erogato è in grado generare oltre alle attese è il mark up del valore intangibile prodotto dall’utilità sociale dell’ente nonprofit e che, a conti fatti, incide soprattutto in termini di percezione del benessere.
  3. CULTURA DEL MERITO. Legata alla maturità del dono e al valore della reciprocità. Donare come gesto consapevole e attività programmata di lungo periodo. Questo approccio, connesso alla fedeltà del donatore, rende stabile il rapporto e favorisce una pianificazione più serena e garantita delle attività sociali di natura straordinaria.

In questo nuovo contesto, se l’ente fa la differenza rispetto alla causa sociale che persegue, il fundraising, dal canto suo, diviene motore pulsante delle attività sociali nel loro complesso: oltre il concetto di sussidiarietà (o accessorietà) quindi, assumendo il ruolo di “centralità” del sistema.

Oggi è il mio 41° compleanno e lo voglio festeggiare così: con un nuovo post e un dominio nuovo per il blog on line nelle prossime ore. Per te non cambia nulla, troverai NONPROFIT BLOG al solito indirizzo, ma per il blog è un momento importante: si cresce e ci meritiamo una casa nuova tutta nostra.

Caro Amico, Grazie per Esserci!

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