Il Festival del Fundraising 2013 è stato speciale. E’ finito ed è durato solo un attimo, per dirla con le parole usate dalla Scuola di Roma su Facebook. Un boom in termini di presenze, 690 secondo quanto riferito da Valerio Melandri a Vita. Tante le sessioni e tante le esperienze portate dai relatori. Bello! Davvero! Ogni volta è come se fosse la prima e non mi basta mai. Quest’anno mi sentivo particolarmente in forma e questo mi ha permesso di affrontare il dialogo con i tanti colleghi presenti.

Poi, la premiazione. Nei giorni immediatamente precedenti il festival, quando ho saputo che avrei dovuto parlare di fronte a una vasta platea, sono andata in panico. Dire cose sensate dal vivo è più complicato di quello che si pensi, soprattutto per una come me che ama stare dietro la tastiera. Ho quindi pensato di cominciare raccontando una storia, una di quelle a cui faccio riferimento nel video girato per l’occasione (guarda il video IFA).

E’ breve. Leggila con attenzione perché trasmette il senso, profondo, dell’amore che mi spinge, ogni giorno, a svolgere il mio lavoro di fundraiser.

In Sicilia non piove mai. Eppure da settembre sino alla fine del 2007 non ha mai smesso. Erano gli ultimi giorni di fine estate, a casa era tutto pronto per accogliere il nostro angelo. “Lo sente sempre, vero? I movimenti sono importanti”. Il mio è sempre stato un bimbo vivace con calci e pugni talmente forti da non farmi dormire per quattro mesi. I movimenti, già!!! Nelle ultime settimane tutto era diventato più dolce, come una carezza, eppure conoscevo a memoria i suoi piedini che premevano sull’addome. Quanto li avrei massaggiati dopo, amore mio! Ti sei capovolto con un movimento così brusco e deciso che l’ho percepito chiaramente, eri pronto per nascere. E poi? Si è fermato tutto.

In Sicilia non piove mai. Eppure pioveva nei giorni in cui ti hanno fatto tutte le analisi, quando con un foglio di carta ci hanno comunicato che la diagnosi era Atrofia Muscolare Spinale… “Camminerà?”, ho chiesto nella mia più totale ignoranza. “Vedremo signora, prima di un anno nulla si può dire”. Cretina! La domanda esatta era “Respirerà’?” E tu, cara dottoressa più ignorante di me, mi hai illuso. Non volevo per forza un bambino sano e bello.  Ma nemmeno tutto questo calvario! Saturimetro. Intubazione. Respirazione artificiale. Aspira, aumenta l’ossigeno… 88, 87, 86… aumenta l’ossigeno… 84…83…82… spegni questo coso… soffio ancora dentro di te… intubazione… e poi… basta. Vuoi andar via…  Sembravi un bambolotto addormentato, sereno con intorno i tuoi pupazzi, finalmente in pace.

Piove. Ed è piovuto sino a quando non ti abbiamo lasciato nella tua nuova casa, nel bosco in mezzo a tanti alberi, così potrai finalmente respirare…

C’è il sole ora in Sicilia. Fa freddo, ma c’è il sole ora in Sicilia.

Non so quale sia la tua reazione ma per me è pura e profonda emozione. Tutte le volte. Ed è questa espressione che mi dà il senso di cosa significhi essere un fundraiser. Perché il nostro lavoro, la nostra professione, è legata a doppio filo con le persone. E di persone, storie e vita si alimenta.

Sul palco, durante la premiazione, mi sono sentita speciale, pur avendo fatto la cosa più naturale per me, ovvero quella di fare il mio lavoro e di cercare di farlo al meglio. Se mi si chiedesse qual è la ricetta per essere un buon fundraiser e riuscire, portando a casa risultati sempre nuovi, risponderei che ognuno è fundraiser a suo modo ma nel mio di modo di esserlo ci sono alcuni ingredienti in particolare che non devono mancare.

Eccoli elencati:

  1. CREDICI, con tutto te stesso. Mettici passione, slancio, novità. Se smetti di crederci significa che hai finito il tuo compito e non hai altro da dare, né a te né alla tua organizzazione. Meglio pensare di occuparsi di altro.
  2. FORMATI E INFORMATI. Investire su se stessi è importante. Non smettere mai di imparare e di metterti in discussione. Mai dirsi arrivato ma, allo stesso tempo, mai pensare di non aver nulla da dire. Essere propositivi, reattivi ed efficaci sono caratteristiche richieste al fundraiser. Essere timidi, al contrario, non aiuta in questo lavoro.
  3. PASSIONE. Uno dei miei più cari amici nel fundraising mi definisce una “fundraiser pasionaria”. Questo termine mi fa stare bene. Senza il sacro fuoco della passione i risultati non si raggiungono perché non si arriva al cuore delle persone.
  4. CORRETTEZZA e RESPONSABILITA’ nei confronti di chi chiede informazioni, di chi si fida e si affida.

Noi fundraiser abbiamo una grande responsabilità, insegnare alle persone comuni e al nonprofit stesso che esiste una figura, quella del fundraiser, fortemente professionale laddove la professionalità non è purtroppo concepita come percorso obbligato.

Laddove essere o non essere dei professionisti in realtà, si pensa non faccia alcuna differenza perché non dovuto e non richiesto.

Sappiamo bene che questo è il pensiero comune ed è contro questo preconcetto che operiamo, con dedizione, ogni giorno.

In più, noi fundraiser abbiamo un’altra grande responsabilità e dobbiamo esserne consapevoli: dal nostro lavoro dipenderà in larga misura quello che sarà il Terzo Settore del futuro, il suo ruolo e i suoi obiettivi, in un moderno stato di welfare ancora tutto in divenire.

Concludo riprendendo un’espressione attribuita a Sallustio:

Faber est suae quisque fortunae, ovvero, Ognuno è artefice del proprio destino.

Quindi, buona strada fundraiser!

———–

Fonte foto: Festival del Fundraising

Leggi i tweet dell’IFA su Storify.

———–

Articoli correlati:

Condividi su:

Lascia un commento