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La valutazione d’impatto è un argomento così attuale e così emergente che sorvolarlo, data la sua complessità, è controproducente oltre che ingenuo. In quest’ottica, già la prima edizione di Startup Fundraising contemplava un modulo dedicato. Ancor prima, a inizio 2016, con Christian Elevati avevamo messo a punto una due giorni finalizzata alla progettazione per la Skyler Business School. Il tema della misurazione è quindi centrale nell’offerta formativa orientata al fundraising che propongo.

Così è a maggior ragione ora, con il conforto che

la Riforma del Terzo settore vuole la valutazione dell’impatto sociale condizione necessaria per alcuni enti. Tanto vale muoversi in anticipo ed evitare di essere colti impreparati.

Christian Elevati in questo post racconta, data la sua esperienza, sulle principali criticità che ostacolano la crescita della valutazione dell’impatto in Italia. Un pezzo interessante che ci deve far riflettere.

Christian e io, insieme agli altri docenti, vi aspettiamo alla seconda edizione di  Startup Fundraising che prenderà il via il prossimo 27 ottobre. Buona lettura.

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Si sente sempre più spesso parlare anche in Italia di “valutazione dell’impatto sociale” (che chiamerò VIS di seguito per comodità). A volte in relazione alla cosiddetta finanza sociale (impact investing, social impact bond…), all’impresa sociale in senso lato o alla Responsabilità Sociale d’Impresa. Altre volte la si ritrova significativamente sottolineata per la sua centralità nelle leggi di riforma di settore (del Terzo Settore, della Cooperazione Internazionale…) e nei nuovi bandi per l’accesso a fondi pubblici (si pensi, per esempio, al nuovo Quadro Logico EuropeAid) o privati (di Fondazioni, in ambito Corporate ecc.).

Tutto questo gran parlare ci dice fondamentalmente due cose:

  1. In Italia è finalmente maturo il momento per affrontare la questione della VIS in modo convinto e professionale, uscendo dalle costellazioni di pratiche, a volte eccellenti e a volte improvvisate, per passare a un consolidamento di sistema di qualità.
  2. C’è molta confusione su che cosa sia la VIS, sia in merito a termini, definizioni, metodi sia, soprattutto, alle sue applicazioni concrete. Queste ultime, se da un lato mostrano una ricchezza nella sperimentazione (anche di qualità), dall’altro denunciano gli equivoci e le incertezze tipici di chi muove i primi passi in un terreno ancora poco conosciuto.

In ogni caso, vi è un grande fermento su questo tema nel nostro Paese. In questo post vorrei soffermarmi su alcuni degli ostacoli che impediscono, sulla base della mia esperienza personale, una crescita di una vera e propria cultura della valutazione d’impatto in Italia.

E dunque: chi ha paura della VIS?

Ecco 3 delle principali criticità che incontro frequentemente nel mio lavoro.

  1. Chi pensa che sia una spesa inutile o non prioritaria piuttosto che un investimento. Fare una seria, profonda, sostenibile ed efficace VIS costa e i primi a volerla e a sostenerla economicamente dovrebbero essere i finanziatori. Dal lato dell’organizzazione che la sviluppa e implementa, costa in termini di decisioni che l’organizzazione deve fare sue a partire dal Board e di cambiamento organizzativo richiesto sia per essere sviluppata sia per gli interventi sui processi che la VIS evidenzierà come raccomandazioni alla fine del percorso valutativo. Ovviamente questo costo si traduce molto presto in un investimento, poiché l’organizzazione ne trarrà benefici in termini di efficienza (anche economica), efficacia (migliore rapporto fra input/risorse e risultati raggiunti) e accountability. Il finanziatore, dal canto suo, avrà di conseguenza uno strumento rigoroso e potente per dimostrare che i suoi soldi sono stati “spesi bene”. Se tutto questo non è compreso, la VIS sarà percepita esclusivamente come una spesa inutile e, se perseguita comunque, si limiterà a lavori di maquillage (che però, come le bugie, hanno le gambe corte…).
  2. Chi pensa che farà emergere i fallimenti e i limiti del proprio lavoro e della propria organizzazione, a discapito della reputazione personale e istituzionale. Su questo è bene essere chiari: la VIS farà certamente emergere punti di debolezza e criticità del nostro programma/progetto e/o della nostra organizzazione. E quindi? Vogliamo continuare a ripetere gli stessi errori, senza mai imparare da essi? Vogliamo pagarne per sempre il costo (economico, organizzativo, di reputazione… ), che ricade poi inevitabilmente sui nostri principali stakeholders? Quanto a lungo pensiamo di potere “nascondere la polvere sotto al tappeto”? Inoltre: la valutazione si fa principalmente per “dare valore”, per definizione. Ai punti di debolezza e alle criticità si affiancheranno tutti i punti di forza, le eccellenze e gli ambiti di qualità di cui siamo capaci e che forse non stiamo nemmeno valorizzando come meritano (e come ci meritiamo!).
  3. Chi dice: “abbiamo già i nostri strumenti di monitoraggio e valutazione, perché cambiarli?”. Da un lato, questa è la classica risposta di chi è refrattario al cambiamento e risponde automaticamente: abbiamo sempre fatto così, perché cambiare? I cambiamenti, però, non vanno sottovalutati. Chi risponde così, ha le sue ragioni. Lo vediamo anche nella nostra vita personale: i cambiamenti implicano un lavoro di consapevolezza e di presa di coscienza spesso lungo e doloroso, sacrificio, separazioni, abbandono di certezze. Il cambiamento va dunque accompagnato in modo graduale, partecipato e sostenibile, altrimenti diventa una violenza distruttiva, che finisce per consolidare le rigidità organizzative invece che metterle in discussione. Ma a tutto ciò va aggiunto un altro aspetto altrettanto importante: le attività tradizionali di monitoraggio e valutazione vanno benissimo quando si valutano le cose che abbiamo fatto (le scuole costruite, i pasti donati, i medici formati… ), ma sono spesso inadeguate a valutare se tali azioni hanno cambiato in meglio la qualità della vita delle persone in modo duraturo e significativo. Fare una VIS è concentrarsi in particolare su questi cambiamenti, peraltro fondamentali da raccontare per un fundraiser.

Vorrei concludere con questa citazione, attribuita a Goethe e poi ripresa da Martin Luther King:

“Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò e andò ad aprire e vide che non c’era nessuno”.

Siamo pronti ad aprire la porta?

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Iscriviti ora a Startup Fundraising. Le iscrizioni chiuderanno il prossimo 20 ottobre.
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CE————-

Guest post. Txs to Christian Elevati. Senior Consultant in Social Impact management & evaluation, Theory of Change e Social Innovation. Lavora per realtà del Terzo Settore (ONG, Fondazioni, Cooperative sociali, Associazioni) accomunate dalla promozione dei diritti umani, dell’inclusione sociale e dell’educazione, occupandosi di strategia organizzativa, capacity building, valutazione (di processi, di progetti e/o dell’impatto sociale), co-progettazione territoriale, funding, elaborazione e redazione di policy paper, formazione. Seguilo sul suo profilo LinkedIn.

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